20 dic 2011

Il paravento dell'art. 18

Chiunque lavora, qualunque sindacato, ogni azienda sa perfettamente che art. 18 o meno quando un datore di lavoro decide di licenziare chichessia può farlo.
Allora chiedo cortesemente che questa battaglia ideologica ed ipocrita tra Confindustria e Sindacati la si lasci perdere che è solo una bandierina che i contendenti ambiscono a sventolare per motivi esclusivamente ideologici, e si vada a avanti a parlare ai altre cosucce tipo ammortizzatori sociali, recupero del sommerso, occupazione giovanile, piani per la rioccupazione di personale da 40 anni in sù che ha perso il lavoro.
Ma capisco in fondo: è molto più semplice parlare delle grandi questioni di principio che fare le cose che servono. Si chiacchiera e si fa finta che il tempo non passi ed i problemi reali non ci siano.

10 commenti:

Ernest ha detto...

Questi devono parlarci di lavoro da dare, non da togliere.

silvano ha detto...

Son d'accordo Ernest. L'art. 18 come principio non è negoziabile ma se da un lato è un principio allora non deve essere zoppo e tutelare solo una parte dei lavoratori. Sappiamo però che è anche una coperta che non copre...quindi da un lato ci sono organizzazioni datoriali che non pensano al lavoro ma solo alle battaglie ideologiche e dall'altra c'è un sindacato che se si impegnasse nella difesa delle persone reali come si impegna nella difesa di un principio zoppo saremmo in Svezia.

dario ha detto...

Non e' mica tanto vero che l'articolo 18 e' solo un simbolo e che il datore di lavoro ti puo' licenziare comunque quando vuole.

Io, per esempio, in questo momento di crisi me la sto un po' facendo addosso, perche' so che anche se finisse improvvisamente la crisi sarei poco riciclabile, a quasi 50 anni. L'articolo 18 mi fa sentire protetto. Dici che e' solo una sensazione? Dici che il mio datore di lavoro avrebbe potuto mandarmi a casa (e con me un sacco di altra gente, che e' finita in cassa integrazione per poi essere reintegrata) ma non l'ha fatto per spirito umanitario?
Senza articolo 18 il datore di lavoro puo' spremere il lavoratore nel momento di crisi: ti do' due lire, se lavori sodo bene, senno' ti lascio a casa. Il lavoratore deve subire il ricatto.

Ora, ho sentito che altri paesi europei non hanno l'articolo 18 ma hanno altri sistemi, tipo un prepensionamento sostenuto dall'azienda, oppure sorte di casse integrazioni per i lavoratori che perdono il lavoro finche' non ne trovano un altro. E vabbe', se eliminare l'articolo 18 significa procedere con modalita' molto simili ad oggi, chiamandole con nomi diversi allora sono d'accordo con te. ma qui si parla di liberare il datore di lavoro dal vincolo del contratto di lavoro con il lavoratore! Cioe', se c'e' crisi paga il lavoratore, se non c'e' ci guadagna il datore di lavoro. O cosi' o pomi'.

silvano ha detto...

Caro Dario, se l'art. 18 è un principio (dovrebbe esserlo!) dovrebbe essere esteso a tutti.
Io ad esempio non ce l'ho...e come me moltissimi altri. Ora dico le battaglie si possono anche fare, è giusto farle, ma se si parla di art 18 la battaglia la si faccia perchè tutti l'abbiano. In secondo luogo se domani mattina invece di articolo 18 lo chiamiamo "arturo" e troviamo il modo di tutelare tutti allora io l'art. 18 lo butto tranquillamente nel cesso, che mi frega. Qui invece ho l'impressione che si stia tutelando al posto dei lavoratori un'incona ideologica e che alla fine te lo toglieranno e si sarà rimasti in braghe di tela. Anch'io mi sto avvicinando ai 50 e se perdessi il lavoro sarei nella merda quanto te...perchè non è uno scandalo o una battaglia da combattere questa? e perchè non è uno scandalo che stiamo per perdere un'intera generazione, tra disoccupati e precari di 40 anni?
ciao.

dario ha detto...

Certo che lo e', uno scandalo, e certo che bisogna combattere per estendere l'articolo Arturo a tutti.
Ma mi pare che smettere di parlare dell'articolo Arturo quando il ministro del lavoro parla di abbattere il totem remi proprio nella direzione opposta.

Mi pare buona, per esempio, come ho sentito, l'idea di una evoluzione verso un sistema piu' simile alla Danimarca, cioe' che ad una certa eta' si puo' anticipare la pensione ma il datore di lavoro deve pagare la pensione anticipata. Non so se' e' realizzabile, ma mi parrebbe una cosa molto giusta: cioe' il datore di lavoro puo' lasciare a casa il lavoratore ma ne deve sostenere le spese, visto che in periodi di vacche grasse lo ha munto. Questo realizzerebbe la funzione sociale del capitalismo.

Se riformare l'articolo 18 significa lasciare sostanzialmente inalterati i diritti di chi un contratto ce l'ha sono d'accordo. Ancora piu' d'accordo sarei se si tentasse di estendere quei diritti a chi ad oggi non ce li ha. Questo sarebbe la cosa giusta da fare.

silvano ha detto...

Caro Dario qui 8in Italia) il dibattito è fermo da 30 anni. Da una parte c'è sempre qualcuno che dice "per prima cosa togliamo la tutela e poi discutiamo2 e dall'altra parte c'è sempre qualcuno che dice "l'art 18 non si tocca".
In 30 anni ancora non ho sentito nemmeno buttare lì un semplice e banale "d'accordo io posso anche rinunciare all'art. 18 ma prima costruiamo un'ipotesi alternativa, che se dovesse andare bene ci mettiamo d'accordo".

C'è il vuoto di idee da parte e dall'altra oppure la mancanza di coraggio, per cui le controparti con massimo e reciproco conforto recitano un vecchio copione sapendo già da subito che non cambierà nulla. Dietro l'autoreferenzialità niente.
ciao.

dario ha detto...

Silvano, hai fatto un'analisi perfetta di come vanno le cose sull'articolo 18. Il fatto e' che pero' non mi aspetto che il sindacato di punto in bianco si metta a discutere l'articolo 18, che, per quanto mi riguarda, va benissimo cosi' e dovrebbe essere applicato a tutti.
Mi aspetto invece che sia il governo a proporre una riforma dell'articolo 18. Una riforma, ripeto, e non una abolizione. Una riforma che non leda sostanzialmente quelli che sono protetti dall'articolo 18, come me. Insomma, una riforma che tenda a proteggere i lavoratori dal rischio di rimanere senza lavoro quando per caso l'azienda per cui lavorano entri in crisi. Perche' se il dovere sociale del lavoratore e' produrre, il dovere sociale del datore di lavoro e' dare lavoro. Soprattutto quando c'e' crisi. Perche' il privilegio del datore di lavoro e' compensato dal suo impegno a proteggere il lavoratore. E quel privilegio e' pagato con surplus di valore del suo lavoro rispetto allo stipendio. Questa e' la logica, che e' applicata anche altrove, con modalita' diverse.
Che poi tu mi dici che non e' giusto che ci siano molti lavoratori che non sono protetti dall'articolo 18, be', ti do' pure ragione, ma e' del tutto diverso da dire che sarebbe giusto abolire l'articolo 18.

Infine vorrei farti notare una cosa: l'abolizione dell'articolo 18 parla della liberta' dell'imprenditore di licenziare quando siamo in periodo di crisi, perche', se escludiamo la giusta causa (che e' ammessa anche dall'art. 18), perche' mai un datore di lavoro dovrebbe licenziare un lavoratore quando non siamo in periodo di crisi? Insomma, l'idea e' che se liberiamo da questo vincolo l'imprenditore, allora l'imprenditore "imprende" di piu', e quindi crea nuovi posti di lavoro. Cioe', una diminuzione dei diritti fa aumentare il numero di posti di lavoro.

Verrebbe da concludere che coloro che vogliono abolire l'art. 18 per ragioni economiche, non pensano di farlo vincolando ulteriormente gli imprenditori, ma anzi dando loro maggiore liberta' nei confronti dei lavoratori, altrimenti non riuscirebbero a trarre alcun vantaggio per l'economia. Quindi, chiamalo pure Arturo, ma alla fine i diritti dei lavoratori verranno a diminuire.

Detto questo, io non credo, come dici tu, che l'articolo 18 non verra' mai abolito. Anzi, io credo che e' solo questione di tempo. Quando la crisi si fara' un po' piu' dura (e lo si fara'!) il PD abbassera' definitivamente la cresta, e con lui anche CISL e UIL, e alla fine anche la Camusso, e chi se la pigliera' in culo saro' io (e anche tu, ma mi pare che tu ce l'hai gia' in culo, da questo punto di vista).

E allora a me personalmente verra' da chiedermi dove sta il progresso. Dove sono finite le lotte per i diritti dei lavoratori.

Anonimo ha detto...

Il punto è sempre lo stesso, è il cane che si mangia la coda e chi ne fa le spese è sempre e solo il lavoratore.
Quando, ormai molti anni fa, il mondo del lavoro è entrato in crisi si è affacciata nel nostro paese le rivoluzione del precariato: piccolo miracolo che doveva, da un lato alleggerire le aziende che non dovevano più sostenere i gravosi costi di un dipendente (contributi, sanità, stipendi adeguati ai contratti nazionali, maternità, ferie, licenziamenti per giusta causa etc.), e dall'altro dare più lavoro proprio perchè le aziende, più leggere, potevano investire di più sul proprio ampliamento e quindi sul personale. Doveva naturalmente essere una politica d'emergenza, destinatata ad un breve periodo e poi sostituita, invece, dal ritorno dei diritti tolti ai quei lavoratori. Non c'è bisogno che io racconti nulla su com'è invece andata, lo sappiamo tutti.
Ora, si ricomincia. Siamo in crisi, certo, lavoro ce n'è molto meno dell'epoca Biagi. E allora qual è la soluzione? Continuiamo a pensare a come facilitare i problemi alle imprese che, se producono e guadagnano meno riducono le spese ed il personale per riparificare il bilancio, e non pensiamo minimamente a chi il lavoro che con gran colpo di fortuna magari l'ha trovato, ora lo perde (magari con famiglia e mutuo da pagare).
E' chiaro che non abolire l'articolo 18 non basta, è ovvio che andrebbe completamente rivoluzionato il mondo del lavoro, eliminando prima di tutto i contratti a progetto e tutti gli altri che hanno solo, fino ad oggi, favorito le aziende (alcune vivono solo su precari che riassumono fino a quando possono per poi sostituirli con i nuovi)e sfavorito i lavoratori, con sacrifici, doveri e diritti paritariamente distribuiti.
Però, in questo panorama, se le cose non cambiano e si comincia anche a mettere in dubbio l'articolo 18, chiaro che si insorga unanimamente (fra i lavorati, ovvio). Per cui, l'art. 18 deve restare e deve essere accompagnato da tutte quelle tutele che oggi sono negate a quasi l'80% dei lavoratori giovani.
Massimo

dario ha detto...

Bravo, Massimo. Hai detto esattamente quello che io non sono stato capace di dire.
L'articolo 18 ha perso di significato perche' non viene applicato a tutti i lavoratori ma solo ad una parte di essi. Ma l'abolizione dell'articolo 18 sicuramente non potrebbe che peggiorare la situazione.

L'articolo 18 non e' un totem. Puo' essere riformato, ma cio' non deve ridurre i diritti dei lavoratori. Anzi, i diritti dei lavoratori devono essere estesi a TUTTI i lavoratori.

E il motivo per cui si vuole abolire l'articolo 18 e' proprio quello di ridurre i diritti dei lavoratori.

Ernest ha detto...

Buone feste Silvano!