21 feb 2017

Michele Emiliano e Don Abbondio

Ci sono personaggi, che hanno la straordinaria capacità di giocare tutti i ruoli, fossero dei giocatori di calcio, sarebbero ambitissimi dagli allenatori.
Ci sono illustri, o meglio notori, predecessori dell'Emiliano, che prima sfida Renzi, poi lo adula, poi si allea con gli altri due frondisti, poi li abbandona, poi ci ripensa, poi vorrebbe urlare il suo manifesto politico "armatevi e partite", poi non sa, alcuni con un loro profilo altamente drammatico, altri farseschi; ecco starei sui farseschi sovvenendomi prepotentemente don Abbondio.
Don Abbondio quindi, un prete che è il simbolo dell'Italia, pavida ma tetragona che non cambia, non rischia mai, non tramonta mai, ma che sotto la vigliaccheria è in realtà forte nel suo immobilismo, sempre dalla parte del più forte ma prudentemente nelle retrovie.
Don Abbondio che nella società dei media si espone di più ma che non rischia mai nulla, il posto in caldo in magistratura (aspettativa, mica siam scemi da esserci dimessi...), e poi 10 anni da sindaco di Bari, e ora la Regione Puglia, che se poi dovesse andar male si torna in magistratura tranquilli come il sole, e che se poi ancora conviene e ci son possibilità di imporsi sullo Speranza e sul Rossi magari si esce, o che se il padrone per restare in casa getta un ossetto succulento, allora si rimane, beh insomma caro elettore PD non crederai ancora che si sia al tuo servizio e si facciano le cose per idealità e altruismo...

Leonardo Sciascia su Don Abbondio

"« don Abbondio è forte, è il più forte di tutti, è colui che effettualmente vince, è colui per il quale veramente il “lieto fine” del romanzo è un “lieto fine”. Il suo sistema è un sistema di servitù volontaria: non semplicemente accettato, ma scelto e perseguito da una posizione di forza, da una posizione di indipendenza, qual era quella di un prete nella Lombardia spagnola del secolo XVII. Un sistema perfetto, tetragono, inattaccabile. Tutto vi si spezza contro. L’uomo del Guicciardini, l’uomo del “particulare” contro cui tuonò il De Sanctis, perviene con don Abbondio alla sua miserevole ma duratura apoteosi. Ed è dietro questa sua apoteosi, in funzione della sua apoteosi, che Manzoni delinea – accorato, ansioso, ammonitore – un disperato ritratto delle cose d’Italia: l’Italia delle grida, l’Italia dei padri provinciali e dei conte-zio, l’Italia dei Ferrer italiani dal doppio linguaggio, l’Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si acquietano… »

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