22 feb 2012

Resistenti al cambiamento

Non solo le corporazioni ma anche i sindacati e gli industriali (le parti sociali come si chiamano) sono resistenti al cambiamento.
Qualcuno può dire a ragione che non tutti i cambiamenti sono un progresso e non tutte le resistenze al cambiamento sono immobilismo, ma certo uno schema che si ripete immobile da tempo immemorabile, un gioco delle parti sempre uguale a sè stesso con gli attori ingessati qualche dubbio lo dovrebbe far venire sulla capacità di adeguarsi ai tempi delle varie componenti sociali italiane.
Se questa immutabilità producesse ricchezza, occupazione, tutele, progresso, miglioramento delle condizioni giovanili e femminili allora sì avrebbe senso non muoversi, ma è sotto gli occhi di tutti che così non è.
La barca fa acqua da tutte le parti, le condizioni del lavoro dipendente negli ultmi 20 anni sono drammaticamente peggiorate e allora la difesa di questo piccolo mondo antico, non ha senso e non serve a nessuno tranne ai vecchi attori, alla salvaguardia dei loro vecchi posti, dei loro status e le responsabilità delle conseguenze sociali di questo immobilismo le pagano e le pagheranno i più deboli che non hanno rendite di posizione da salvaguardare ma solo sono su un piano inclinato e continuano a scivolare più in giù.

6 commenti:

dario ha detto...

Silvano, ho l'impressione che indignarsi perche' il cappotto bisunto di un clochard puzza non sia molto ragionevole, visto che l'unica sua alternativa e' prendere freddo.
Io credo che i sindacati che lottano contro il cambiamento lo facciano perche' il cambiamento che gli si prospetta e' in peggio.
Come gia' dissi altrove, se fossi sicuro che dopo un eventuale licenziamento trovassi un lavoro migliore e meglio pagato rinuncerei volentieri all'articolo 18, cosi' come se ci fossero ammortizzatori sociali efficienti rinuncerei piu' che volentieri alla cassa integrazione.

silvano ha detto...

Volevo parlare di un atteggiamento più generale più che di art. 18 in particolare. Ma parliamo pure di art. 18, anzi del posizionamento tattico che si sta operando su un tema (art. 18) che probabilmente non è nemmeno all'ordine del giorno. La Marcegaglia fa un attacco al sindacato del tutto gratuito e parecchio volgare e facendo questo o è impazzita, e non credo, oppure ha ridato al sindacato e alla confindustria una forte identità ideologica...e mi sorge il dubbio che l'abbia fatto per rimanere sostanzialmente immobile, cristallizzata in quelle parti in commedia cui ho accennato nel post.
ciao Dario, e non pensare che sia contro l'art. 18 o contro i lav. dipendenti che lo sono anch'io e mi rompe parecchio di non averlo per me l'art. 18.
silvano.

listener-mgneros ha detto...

Non ho mai creduto che la dichiarazione dei diritti dell'uomo fosse anacronistica solo perché al 1789 poi è susseguito il governo di salute pubblica il direttorio e il bonapartismo, lo stesso vale per dei principi di fondo che hanno cambiato il mondo nel 1917 o che nel 1945 hanno portato ad una costituzione in questo paese nonostante poi 67 anni di mal governo...la verità è che quei principi non sono inattuabili, bensì sono antistorici coloro che non li hanno mai voluti attuare fino in fondo...è stata proprio mettere in dubbio la loro validità e spacciare per risolutivo e luminoso il liberismo sfrenato a produrre l'attuale crisi, che non mi sembra, come invece si vuol far apparire, sintomo di un complotto bolscevico o di uno stato sociale oltranzista!

dario ha detto...

Allora.
Perche' la Marcegaglia abbia detto quel che ha detto non lo so, francamente quei tatticismi che tu delinei sono al di sopra delle mie capacita' di comprensione. Ora che me lo dici mi pare interessante approfondire, ma comunque improbabile, visto che il mandato della Marcegaglia sta per terminare. Finalmente.

Neanche io parlavo di articolo 18. Oggi, ascoltando a Radio Popolare le posizioni di Bersani, mi sono chiesto se l'immobilismo del PD risiede nel fatto che non esiste una vera alternativa alla riduzione dei lavoratori a schiavi senza diritti oppure un progresso sociale allineato a quello auspicato economico e' possibile, ma il PD (che, essendo forza maggiore della sinistra dovrebbe rappresentare) non e' in grado di trovarlo.
Se e' vera la prima ipotesi siamo nei cazzi, in quanto lavoratori. Ma se e' vera la seconda... vabbe', sto divagando...

Io credo fermamente che un metodo (uno, non l'unico) per aumentare l'occupazione sia ridurre i diritti dei lavoratori. Ma questa soluzione, se non corredata da un sacco di altri accessori la cui definizione mi pare argomento delicatissimo, non sembra comportare un vero sviluppo sociale democratico, ma anzi un regresso. E allora, che vantaggio ne possiamo trarre? Come societa', intendo, non come individuo. Lo so anch'io che e' meglio lavorare per un tozzo di pane piuttosto che essere disoccupato finendo di morire di fame, ma una societa' costituita da una stragrande maggioranza di persone che si possono permettere di scegliere solo tra un tozzo di pane e la fame non sia auspicabile.

Io credo nel sindacato perche' e' l'unica parte sociale che si preoccupa, se non di espanderli, come ci si aspetta in una societa' evolutiva, di difendere i miei diritti di lavoratore, e in quanto lavoratore di parte costitutiva e imprescindibile del tessuto sociale. Dove sbaglio?

dario ha detto...

:-) cioe' si', parlavo di art. 18, ma non mi pareva che fosse il centro del pensiero che volevo esprimere.

la signora in rosso ha detto...

Se si parlasse un pò meno.... tv e giornali apmlificano commenti e pensieri che un'ora dopo sono smentiti...personalmente aspetto i fatti...