29 apr 2008

"Bambini nel tempo" - Ian Mc Ewan


Avevo già letto alcuni suoi libri e mi erano piaciuti molto. Poi ho letto "Bambini nel tempo" e dopo poche pagine dall'incipit del romanzo c'è una descrizione che mi ha profondamente colpito, che mi ha illustrato ancora una volta la grandezza della letteratura, la sua trasversalità, la capacità di essere universale, di colpire al cuore e allo stomaco...delineando in poche parole una delle grande angoscie umane la paura della perdita, della separazione.
Ora riporterò integralmente quella descrizione, poco più di una paginetta ma immensa.
Siamo in un supermercato e c'è Stephen che è andato a fare la spesa con Kate che è la sua bambina di tre anni.
Fanno la spesa, la bambina è seduta nel carrello della spesa...arrivano alla cassa....d'ora in poi Mc Ewan:

"La cassiera era già al lavoro, le dita di una mano picchiettanti sulla tastiera mentre con l'altra si avvicinava agli acquisti di Stephen. Mentre prendeva il salmone dal carrello, rivolse lo sguardo a Kate e le fece l'occhiolino. Lei lo imitò goffamente, arricciando il naso e strizzando tutti e due gli occhi. Stephen posò il pesce e chiese alla ragazza un sacchetto. Quella si chinò a prenderne uno sotto il banco. Stephen lo prese e si voltò. Kate non c'era più. Non c'era nessuno in coda dietro di lui. Senza fretta spinse avanti il carrello, pensando che Kate si fosse accucciata dietro l'estremità opposta della cassa. Poi fece qualche passo e diede un'occhiata lungo il solo corridoio che la piccola avrebbe avuto il tempo di raggiungere. Tornò indietro e guardò a destra e sinistra. Da un lato c'erano file di clienti, dall'altro uno spazio vuoto, poi il dispositivo girevole cromato e le porte automatiche che si affacciavano sul marciapiede. Forse c'era una figura in soprabito che si allontanava correndo, ma ora Stephen cercava soltanto una bambina di tre anni e il suo primo pensiero fu il traffico.
Si trattava di una forma d'ansia teorica, precauzionale. Superando a spallate i presenti ed emergendo sull'ampio marciapiede, era certo che non l'avrebbe vista. Kate non amava questo genere di avventure. Non era il tipo randagio. Troppo socievole, preferiva la compagnia di chi era con lei al momento. E per di più era terrorizzata dalla strada. Stephen tornò sui suoi passi, più tranquillo. Doveva essere dentro, dove non correva alcun pericolo reale. Si aspettava di vederla saltar fuori dalle file di clienti alla cassa. Non ci voleva granché a mancare con lo sguardo un bambino, nella furia iniziale della preoccupazione, a guardare troppo bruscamente o troppo alla svelta. Ciononostante un certo irrigidimento alla gola, un senso di nausea e una sgradevole leggerezza nel passo lo accompagnavano già. Quando superò le casse, ignorando la ragazza che, piuttosto irritata, cercava di attirare la sua attenzione, una sensazione di gelo gli invase la bocca dello stomaco. A passo di corsa controllato – non aveva ancora superato la riluttanza ad apparire stupido agli occhi degli estranei - , percorse tutti i vari corridoi, superò montagne di arance, rotoli di carta igienica, minestre. Ma fu solo tornando al punto di partenza che Stephen abbandonò ogni velleità di decoro, si riempì i polmoni oppressi dall'ansia e gridò il nome di Kate.
Adesso avanzava a passi lunghi, ripetendo quel nome a gran voce mentre ripercorreva in fretta un corridoio, per dirigersi ancora una volta all'uscita. La gente incominciava a voltarsi. Era impossibile scambiarlo per uno dei soliti ubriaconi che barcollavano nei supermercati e compravano sidro. La paura di Stephen era troppo evidente, troppo violenta; riempiva quello spazio impersonale e fluorescente di un calore umano non trascurabile. Nel giro di attimi, ogni acquisto intorno a lui si era interrotto. Ceste e carrelli furono dimenticati, la gente accorreva e sussurrava il nome di Kate tanto che, in qualche modo, in un baleno, tutti seppero che lei era lì, che era stata vista per l'ultima volta alla cassa, che indossava una tutina verde e aveva in mano un asinello di pezza. La facce delle madri erano tese, all'erta. Parecchie persone avevano visto la bambina sul carrello. Qualcuno ricordava anche il colore della sua maglietta. L'atmosfera anonima del magazzino di città si rivelò fragile, una crosta sottile sotto la quale la gente osservava, giudicava, ricordava. Un gruppo di clienti attorno a Stephen si diresse alla porta. Al suo fianco c'era la ragazza della cassa, il volto concentrato nello sforzo di rendersi utile. C'erano anche altri membri del personale, di diverso grado gerarchico, chi in camice marrone, chi bianco, chi in abito blu. Tutto ad un tratto anche loro avevano cessato di essere operai o dirigenti o rappresentanti, per trasformarsi in padri, potenziali o autentici.
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6 commenti:

Anonimo ha detto...

Non conosco Mc Ewan, ma le sensazioni che descrive sono agghiaccianti, perchè è proprio così che ci si sente nei primi istanti in cui ci accorgiamo che qualcosa è andata come non dovrebbe andare...

silvano ha detto...

Mi fa piacere di averti proposto qualcosa che non conoscevi.
ciao.

Gianna ha detto...

Il brano appena letto mi ha fatto venire i brividi! Che solidarietà autentica! Grazie.

Luca ha detto...

Eilà!!
Tommy Emmanuel l'ho conosciuto da qualche mese, un pò da amici che suonano e su you tube, o cmq su internet in generale. E' diventato il mio mito..riascolto le sue canzoni e i suoi arrangiamenti mille volte. C'è chi dice che in questo momento sia il top...ascolta tutto ciò che trovi su you tube, ci son delle robe da paura...

silvano ha detto...

Grazie Stella della visita. Questa di Mc Ewan è una pagina di profonda conoscenza della psiche umana, trasmette il sentimento dell'ansia con rara efficacia, vero?
ciao, un saluto, silvano.

silvano ha detto...

Va bene, grazie per l'informazione Luca, mi darò da fare.
ciao, silvano.