26 ott 2010

Toc! Toc! C’è Marchionne alla porta.

Toc! Toc! C’è Marchionne alla porta.
L’hanno sentito tutti, l’altra sera da Fazio, Marchionne. Di rumore ne ha fatto. Di cose ne ha dette, alcune ingenerose e ingiuste, altre mezze vere e mezze no e altre infine vere.
Una cosa è sicura la politica ed i sindacati dovrebbero prendere posizione e accettare di discutere per smascherare l’eventuale bluff o ragionare sullo stato e sul futuro dell’economia italiana.

Credo che addossare le responsabilità della crisi Fiat sugli operai sia falso oltre che parecchio cattivo; già sono più d’accordo quando Marchionne dice che manca una politica industriale in Italia, decretando il fallimento e la fine del berlusconismo che a chiacchiere ha fatto grande il paese ma che nella realtà lo ha indebolito e impoverito, tenendolo al palo negli ultimi 15 anni mentre gli altri si muovevano, pianificavano, crescevano.
Discorso importante quello di Marchionne, con luci ed ombre ed alcune importanti omissioni (sembra aver omesso del tutto le responsabilità della Fiat che questo governo ha voluto e sostenuto fino a ieri e con il quale ha scambiato parecchi favori; sembra aver omesso del tutto il fatto che uno dei giocatori importanti della partita italiana, uno dei protagonisti della nostra economia è stata proprio Fiat nel bene ma soprattutto nel male; sembra aver dimenticato i finanziamenti ricevuti da sempre…).
Vero invece quando dice che la globalizzazione non fa sconti a nessuno e noi come paese la stiamo rifiutando, rimuovendo e questo non ci porterà bene ma solo verso un vicolo cieco.
Ora ci sono delle domande sul tavolo cui una classe politica degna e responsabile insieme ad un sindacato che deve cominciare pure esso a porsi il problema dell’Italia del domani devono rispondere.

Le sintetizzo:
1) siamo disposti a sovvenzionare con aiuti di stato Fiat? Tutti i produttori automobilistici del mondo occidentale sono sovvenzionati – l’alternativa è la chiusura. Noi siamo disposti a farlo ancora? Altrimenti Fiat se ne va – questo mi sembra chiaro.
2) Ci poniamo il problema del perché siamo così poco competitivi da non attrarre capitali e investimenti stranieri?
3) Siamo in grado di reggere senza investimenti stranieri?
4) Stiamo investendo in ricerca ed istruzione in modo adeguato?
5) Non è un dramma se Fiat se ne andasse ma abbiamo un piano B? Possiamo anche decidere che di Fiat siamo stufi e ognuno per la sua strada ma abbiamo un piano industriale/politico/strategico per rimpiazzarla – a me non frega niente se Fiat chiudesse ed al suo posto aprisse Volkwagen o Toyota o chiunque altro, ma siamo all’altezza?
6) Che sindacato è quello che invece del lavoro, di nuovi accordi, della preoccupazione di aumentare i posti di lavoro in modo equo e democratico conclude accordi, ad esempio con Unicredit, imponendo clausole che prevedono l’ereditarietà di padre in figlio del posto di lavoro? Dov’ è la democrazia? La pratica sancita da quell’accordo non è forse nepotistica e vergognosa per un sindacato come la CGIL? Di CISL e UIL ormai non si sa più che pensare a parte il fatto che non stanno più svolgendo la loro funzione.


Marchionne non è il problema né la risorsa, c’è il mondo pieno di “Marchionni”, ma alle sue domande/provocazioni/insulti c’è una politica che sappia dare una risposta di prospettiva ai bisogni e agli interessi del paese?


4 commenti:

Bastian Cuntrari ha detto...

Bravo Silvano!
È intellettualmente onesto, il tuo post. Vero: alla FIAT abbiamo dato - noi contribuenti - con rottamazioni e incentivi. Ma mi sembra che da oltre mezzo secolo ci siamo portati come se la FIAT fosse la nostra unica industria e ogni governo - in questi 50 anni e passa - non ha fatto assolutamente nulla per considerare la FIAT alla stregua di una qualunque azienda, dirottando gli incentivi verso mercati non al limite della saturazione, come quello automobilistico. Oppure concedendoli a patto che, ad esempio, si investisse in motori tecnologicamente alternativi. Ma a tutti, sino ad ora, è andato bene così.

E siamo talmente abituati a sentirci dire "Va tutto ben, Madama la Marchesa!", che - se qualcuno ci apre gli occhi e ci dice, anche brutalmente, come stanno in realtà le cose - lo vediamo come il diavolo in persona.
Non commento sulla considerazione che fai sul sindacato: mi limito a quotarla in pieno.
Ti lascio il link di un sondaggio che - proprio oggi - fa TG24: non siamo i soli a pensarla così.

unwise ha detto...

il problema principale, secondo me, è che si è sempre pensato alla fiat come qualcosa di eterno, che, male che vada, c'è sempre. alla fiat non abbiamo dato solo con rottamazioni e incentivi (già di per se un esproprio di denaro pubblico a favore degli utenti della suddetta), ma anche con tutta la cassa integrazione che agnelli usava come leva sullo stato. la fiat è il paradigma della mentalità economica italiana, un atteggiamento assolutamente non lungimirante e parassitario, che nel suo caso ha fagocitato e trascinato nel baratro tutta l'industria automobilistica italiana (ne sia un esempio la devastazione dell'alfa romeo, prima praticamente regalatale, in nome di un orgoglio nazionale farlocco, e poi assimilata e digerita). non ci si è diretti verso la qualità, ma verso la quantità, ignorando l'impossibilità di far concorrenza alle moderne potenze in quel campo. migliaia di incolpevoli lavoratori pagano le conseguenze di questo, e di chi ha per anni assicurato loro che i posti di lavoro erano sicuri(tanto, in qualche maniera si stava in piedi, no?).

Ernest ha detto...

Purtroppo la risposta è no, non c'è una politica in grado di tracciare delle linee di politica industriale, è troppo impegnata a fare leggine per gli amici e per i parenti, per gli interessi dei singoli o per il privato di turno.
un saluto

Gap ha detto...

Aggiungere altro è sinceramente difficile. Non per fare la storia d'Italia ma aggiungerei solo una cosa. Perché l'Italia è così dipendente dalla Fiat e, prima ancora, dalle varie case automobilistiche? Perché si è premuto tanto, con il boom economico, sulla mobilità privata a scapito della mobilità pubblica? Paghiamo ancora le scelte dissennate dei governi dell'epoca e nonostante dotte analisi sul cambio di direzione che avrebbe dovuto esserci nulla è stato fatto per uscire dalla situazione. Come non c'era una classe politica all'ora che avesse il coraggio di fare questi discorsi figuriamoci ora. Quei pochi che avevano il coraggio di parlare di diversificazione della produzione veniva tacciato di antitalianità per il solo fatto di mettere in dubbio che la Fiat non era tutto.