L’amico Alberto mi sollecita a scrivere le impressioni del concerto di Lunedì 13 luglio, tenuto all’Arena di Verona da Herbie Hancock e Lang Lang con l’orchestra scaligera diretta da John Axelrod.
Cosa posso aggiungere a quanto ci siamo detti con entusiasmo all’uscita camminando insieme verso casa? Ci siamo detti tutto.
La serata si è aperta con il «Concerto in Do Maggiore» per due pianoforti di Ralph Vaughan Williams. Lang Lang e Hancock, sostenuti da una bella orchestra ben diretta da John Axelrod, hanno fatto correre questa inusuale partitura del compositore inglese, mettendo in risalto un pianismo dalle forti escursioni dinamiche, chiaro scuri perfettamente resi, momenti introspettivi ed improvvise aperture melodiche.
I due si sono poi cimentati con il bellissimo Ravel di Ma Mere l’Oye. Un momento magico a mio avviso, quando i pianissimo sfumavano nell’illusione della percezione, le note erano così tenui e modulate che c’era da chiedersi se provenissero dal pianoforte o fossero frutto della fantasia.
Poi Lang Lang in solo si è letteralmente lanciato nella “Polonaise” di Chopin. Strabiliante lui, la tecnica, la musicalità, il genio. Eseguita ad una velocità vertiginosa e con un controllo perfetto dei forte piano, non una nota che non fosse perfetta e sublime, controllo delle dinamiche inimmaginabile. Da non credere ai propri occhi vedendo le mani che volavano sulla tastiera ed alle proprie orecchie per quella musica.
In solo anche Hancock per un medley di improvvisazione jazzistica (il primo jazz della serata) con citazioni di Canteloupe Island e Maiden Voyage. L’improvvisazione del pianista americano è stata all’altezza della sua fama. Interessantissimo ascoltare la genesi dei suoi pattern che sembravano emergere da ancestrali memorie ritmiche.
Infine il pezzo forte della serata la «Rapsodia in Blu», di Gershwin.
Eseguita nell’arrangiamento per due pianoforti ed orchestra ha rappresentato la sintesi del tema della serata, del sodalizio tra i due grandi pianisti. Classica e Jazz insieme e per un momento la medesima cosa. Jazz come vera musica classica del Novecento. La Rapsodia in blu come contaminazione della musica colta europea e musica popolare del “Nuovo Mondo”.
La musica dei due Steinway [in realtà erano Fazioli - (vedi commento di Marina), ma Steinway mi "suona meglio"; converrete che "La musica dei due Fazioli...." sembrano, più che due pianoforti, i Fratelli De Rege]a sua volta testimone di due mondi. Il suono del piano di Lang Lang, sempre pulito, sempre tondo, senza una sbavatura in alcuna occasione nella tradizione della musica classica europea mentre il piano di Hancock che in ogni nota portava la traccia di un suono “bluesy” tipicamente nero americano.
Il pubblico, quello rimasto, quello che non se ne è andato cafonescamente durante le interpretazioni, disturbando e rumoreggiando, per aver scambiato la performance di due grandi artisti per il Gobbo di Notre Dame musicato dal Cocciante, o Ravel per Laura Pausini, entusiasta ha applaudito a lungo Hancock e Lang Lang. Applausi meritati per una serata dove si è dimostrato che la divisione tra generi non ha senso quando si fa MUSICA a questi livelli.
Cosa posso aggiungere a quanto ci siamo detti con entusiasmo all’uscita camminando insieme verso casa? Ci siamo detti tutto.
La serata si è aperta con il «Concerto in Do Maggiore» per due pianoforti di Ralph Vaughan Williams. Lang Lang e Hancock, sostenuti da una bella orchestra ben diretta da John Axelrod, hanno fatto correre questa inusuale partitura del compositore inglese, mettendo in risalto un pianismo dalle forti escursioni dinamiche, chiaro scuri perfettamente resi, momenti introspettivi ed improvvise aperture melodiche.
I due si sono poi cimentati con il bellissimo Ravel di Ma Mere l’Oye. Un momento magico a mio avviso, quando i pianissimo sfumavano nell’illusione della percezione, le note erano così tenui e modulate che c’era da chiedersi se provenissero dal pianoforte o fossero frutto della fantasia.
Poi Lang Lang in solo si è letteralmente lanciato nella “Polonaise” di Chopin. Strabiliante lui, la tecnica, la musicalità, il genio. Eseguita ad una velocità vertiginosa e con un controllo perfetto dei forte piano, non una nota che non fosse perfetta e sublime, controllo delle dinamiche inimmaginabile. Da non credere ai propri occhi vedendo le mani che volavano sulla tastiera ed alle proprie orecchie per quella musica.
In solo anche Hancock per un medley di improvvisazione jazzistica (il primo jazz della serata) con citazioni di Canteloupe Island e Maiden Voyage. L’improvvisazione del pianista americano è stata all’altezza della sua fama. Interessantissimo ascoltare la genesi dei suoi pattern che sembravano emergere da ancestrali memorie ritmiche.
Infine il pezzo forte della serata la «Rapsodia in Blu», di Gershwin.
Eseguita nell’arrangiamento per due pianoforti ed orchestra ha rappresentato la sintesi del tema della serata, del sodalizio tra i due grandi pianisti. Classica e Jazz insieme e per un momento la medesima cosa. Jazz come vera musica classica del Novecento. La Rapsodia in blu come contaminazione della musica colta europea e musica popolare del “Nuovo Mondo”.
La musica dei due Steinway [in realtà erano Fazioli - (vedi commento di Marina), ma Steinway mi "suona meglio"; converrete che "La musica dei due Fazioli...." sembrano, più che due pianoforti, i Fratelli De Rege]a sua volta testimone di due mondi. Il suono del piano di Lang Lang, sempre pulito, sempre tondo, senza una sbavatura in alcuna occasione nella tradizione della musica classica europea mentre il piano di Hancock che in ogni nota portava la traccia di un suono “bluesy” tipicamente nero americano.
Il pubblico, quello rimasto, quello che non se ne è andato cafonescamente durante le interpretazioni, disturbando e rumoreggiando, per aver scambiato la performance di due grandi artisti per il Gobbo di Notre Dame musicato dal Cocciante, o Ravel per Laura Pausini, entusiasta ha applaudito a lungo Hancock e Lang Lang. Applausi meritati per una serata dove si è dimostrato che la divisione tra generi non ha senso quando si fa MUSICA a questi livelli.
11 commenti:
i pianoforti non erano steinway ma Fazioli. Era scritto in maniera chiara sui pianoforti stessi. Pare che i Fazioli abbiano quasi superato gli Steinway come livello di perfezione sonora. Siete d'accordo?
Prendo nota e rettifico subito.
Grande Silvano, leggere il tuo commento mi ha fatto ricordare la magnifica serata trascorsa assieme!
Concordo, e come non concordare, sul fatto che a questi livelli distinguere i generi musicali (classica-jazz) diventa pura accademia!
alberto
Aggiungerei solo una cosa: che figata!
e non ci vai a umbria jazz? la mia amata umbria!!
i grandi.... però che serate ultimamente... dai ora ti tocacno le sette in fila di liga :-)
Colpo basso, Maurizio.
@Chiarina: Umbria Jazz, è un sogno, ma è anche un grosso problema per le ferie....sigh.
che peccato che una parte del il pubblico abbia disturbato...queste sono serate momorabili.
vai all'umbria jazz?
A voler essere pedanti, Lang Lang suonava su uno Steinway D, mentre Hancock suonava su un Fazioli F278, così come fanno normalmente, del resto.
Forse il nome Fazioli suona meno "cool" (anche se letteralmente steinway si traduce "lastricato"), ma quel gran coda non ha proprio niente da invidiare al buon vecchio amburghese, anzi.
ciao.
Secondo i miei amici pianisti di sicuro i Fazioli sono i pianoforti più prestigiosi e di maggior qualità (come perfezione sonora) in commercio adesso, certamente superiori agli Steinway.
Stefano.
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