Tante cose distinguono l'appassionato che scrive la recensione di un concerto da un giornalista musicale professionista, tra le altre il non dimenticare all'ultimo momento un obiettivo della macchina fotografica a casa, e poi la costanza di segnarsi la scaletta del concerto e prendere appunti delle impressioni del momento.
Be a parte tutto il resto ovviamente: preparazione, professionalità, mestiere ecc.
Tra i risultati finali ci sono foto prese da lontano e ricordi parziali dei titoli delle canzoni: una sì e tre no.
I nomi dei musicisti della band? Boh. Per fortuna che non devo rendere conto a nessuno.
Questa lunga e lamentosa premessa per giustificare la parziale ricostruzione del concerto di ieri sera degli Steely Dan al MJF, Milano Jazz in Festival, all'Arena Civica.
Alle 21.00 puntuale la band ha attaccato a suonare dopo la veloce presentazione di Nick The Nightfly, che più che altro ha ringraziato Fagen per il nome d'arte rubatogli (sospetto rappresenti una buona percentuale del successo di Nick).
Dopo il primo pezzo strumentale sono entrati in scena anche i due Steely Dan: Walter Becker e Donald Fagen.
Quest'ultimo, barcollando pericolosamente, sedutosi al suo Rhodes, ha subito messo in chiaro che era in gran forma. Quel piano elettrico doveva essere truccato tanto bello era il suono che ne usciva. Sembrava abitato dagli spiriti dei grandi del jazz e del blues, le citazioni non si sono contate nel corso della serata. Fagen con le sue movenze alla Ray Charles, aiutato anche dagli occhialoni neri, ha percorso e fatto la storia del sound del Rhodes.
Ascoltandolo si capisce abbia assorbito dentro di sé il jazz elettrico di “In a Silent Way” e poi tutto il'R'n'B', la lezione Motown, il blues dei Maestri BB King in testa.
Musica nera suonata da due bianchi - capita e quando capita è spettacolo puro.
Nel corso delle due ore di concerto piene e senza interruzioni si sono succedute, cito non in ordine tra le altre: Hey Nineteen, Aja (una versione lunghissima e di lusso), Babylon Sisters, Green earrings, Peg, Bodhisattva e poi poi...poi mi perdo (il non prendere appunti si paga). Segnalo due notevoli mancanze “Do It Again”, che il pubblico fin dall'inizio ha continuamente reclamato, ed un completo black out sulle fantastiche canzoni di The Nightfly. Fagen ha giganteggiato in ogni pezzo, vera calamita naturale della musica e del ritmo.
Becker, invece se ne è stato più nascosto sullo sfondo, sembra non abbia il temperamento della prima donna anche se le note cristalline della sua chitarra si sono fatte sentire con grande efficacia in ogni singola canzone a sostegno dell'incredibile “groove” che la band ha saputo fornire ininterrottamente.
Infine una parola sui “ragazzi” della band e sulle tre coriste di colore: straordinari.
Un gruppo di musicisti che avevano l'aria e la perizia dei classici turnisti iper professionisti americani, gente che può stare in uno studio di registrazione venti ore al giorno per sette giorni alla settimana a suonare qualunque cosa il contratto preveda.
Be a parte tutto il resto ovviamente: preparazione, professionalità, mestiere ecc.
Tra i risultati finali ci sono foto prese da lontano e ricordi parziali dei titoli delle canzoni: una sì e tre no.
I nomi dei musicisti della band? Boh. Per fortuna che non devo rendere conto a nessuno.
Questa lunga e lamentosa premessa per giustificare la parziale ricostruzione del concerto di ieri sera degli Steely Dan al MJF, Milano Jazz in Festival, all'Arena Civica.
Alle 21.00 puntuale la band ha attaccato a suonare dopo la veloce presentazione di Nick The Nightfly, che più che altro ha ringraziato Fagen per il nome d'arte rubatogli (sospetto rappresenti una buona percentuale del successo di Nick).
Dopo il primo pezzo strumentale sono entrati in scena anche i due Steely Dan: Walter Becker e Donald Fagen.
Quest'ultimo, barcollando pericolosamente, sedutosi al suo Rhodes, ha subito messo in chiaro che era in gran forma. Quel piano elettrico doveva essere truccato tanto bello era il suono che ne usciva. Sembrava abitato dagli spiriti dei grandi del jazz e del blues, le citazioni non si sono contate nel corso della serata. Fagen con le sue movenze alla Ray Charles, aiutato anche dagli occhialoni neri, ha percorso e fatto la storia del sound del Rhodes.
Ascoltandolo si capisce abbia assorbito dentro di sé il jazz elettrico di “In a Silent Way” e poi tutto il'R'n'B', la lezione Motown, il blues dei Maestri BB King in testa.
Musica nera suonata da due bianchi - capita e quando capita è spettacolo puro.
Nel corso delle due ore di concerto piene e senza interruzioni si sono succedute, cito non in ordine tra le altre: Hey Nineteen, Aja (una versione lunghissima e di lusso), Babylon Sisters, Green earrings, Peg, Bodhisattva e poi poi...poi mi perdo (il non prendere appunti si paga). Segnalo due notevoli mancanze “Do It Again”, che il pubblico fin dall'inizio ha continuamente reclamato, ed un completo black out sulle fantastiche canzoni di The Nightfly. Fagen ha giganteggiato in ogni pezzo, vera calamita naturale della musica e del ritmo.
Becker, invece se ne è stato più nascosto sullo sfondo, sembra non abbia il temperamento della prima donna anche se le note cristalline della sua chitarra si sono fatte sentire con grande efficacia in ogni singola canzone a sostegno dell'incredibile “groove” che la band ha saputo fornire ininterrottamente.
Infine una parola sui “ragazzi” della band e sulle tre coriste di colore: straordinari.
Un gruppo di musicisti che avevano l'aria e la perizia dei classici turnisti iper professionisti americani, gente che può stare in uno studio di registrazione venti ore al giorno per sette giorni alla settimana a suonare qualunque cosa il contratto preveda.
Grande concerto, grandi Steely Dan. Me li aspettavo bravi ma forse in una qualche difficoltà dal vivo, visti ad esempio gli arrangiamenti iper sofisticati cui ci hanno abituato su disco, ed invece li sanno riproporre ed improvvisandoci pure sopra, variandoli, arrichendoli trattando la loro musica come fosse creta in mano ad uno scultore ispirato.
Caldamente consigliati a tutti gli appassionati di musica. Non ascoltate chi dice che sono cotti o vecchi o smorti, suonano meglio oggi di 30 anni fa e l'impressione è che abbiano anche più energia.
Caldamente consigliati a tutti gli appassionati di musica. Non ascoltate chi dice che sono cotti o vecchi o smorti, suonano meglio oggi di 30 anni fa e l'impressione è che abbiano anche più energia.
4 commenti:
...e più esperienza.
Si avverte che hai la musica nel sangue, Silvano.
Sei mio lettore?
Ma nn è che sei un artista in incognito :)
Buon fine settimana
Silvano grazie, ti volevo per il post precedente.
... ma no i giornalisti mica sanno tutto scherzi, è che ti rincoglioniscono di parole di modo che ti dimentichi di voler sapere la scaletta e i nomi della band!
ti confesso che non li conosco mea mea mea culpa! vedo di rimediare presto che da quel cho sentito su myspace è farina per i miei denti!
bella rece e grazie per la segnalazion!
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